La Filiera

Le imprese agricole, costruiscono sulla qualità commerciale le proprie strategie di posizionamento nel mercato. Questa qualità, per essere vincente deve essere costruita sulle modalità di interazione tra produttore, distributore e consumatore abbracciando il concetto di qualità applicato al prodotto nella sua accezione più ampia (bene + servizio). La marca – sia essa industriale che commerciale – rappresenta oltre che uno degli strumenti della qualità (notorietà, reputazione dell’azienda di produzione o distribuzione, valori di status e di riconoscibilità sociale) il contenitore per altri attributi di qualità. È questo il caso, delle aziende del comparto agroalimentare che producono prodotti DOP/IGP, che segmentano la loro offerta con linee biologiche o che garantiscono che nel ciclo produttivo non siano impiegati organismi geneticamente modificati, oppure di alcune catene della grande distribuzione che con i loro prodotti a marchio veicolano un “mix” di qualità, come il biologico, il tipico e l’etico. Quando però si voglia affrontare il concetto di qualità in una prospettiva che abbandona la logica di impresa per una prospettiva macroeconomica e di sistema, occorre fare riferimento ad un ambito più circoscritto rispetto a quello della qualità commerciale, prendendo in considerazione le sole caratteristiche tangibili e generalizzabili del prodotto. Si tratta di quelle caratteristiche o di quegli attributi del bene alimentare che possono essere definiti e codificati da una norma giuridica, una norma tecnica, da un disciplinare o in un capitolato di produzione e o distribuzione.
Secondo questo approccio è pertanto identificabile un concetto di qualità codificata, nella quale i differenti attributi di qualità possono essere ricondotti a due grandi categorie:
- Qualità normata: che si rifà a norme giuridiche vigenti o a norme tecniche riconosciute e ampiamente diffuse. Si tratta in questo caso della qualità definita dall’Unione Europea tramite i regolamenti sulle produzioni biologiche ( che traggono origine dai Regg. CE 2092/91 e 1804/99), sulle denominazioni di origine (che traggono origine dai Regg. CE 2081/92, 2082/92, 1493/99) o delle norme tecniche UNI, che certificano per i sistemi di gestione della qualità delle imprese (ISO 9000) o per i sistemi di gestione ambientali (ISO 14001). Questi modelli, oltre ad essere normati, sono assoggettati ad un atto attraverso il quale una terza parte indipendente dall’impresa controlla che un determinato prodotto sia conforme a specifici requisiti e ne garantisce la rispondenza.
- Qualità dichiarata: riconducibile a prodotti realizzati secondo processi e modalità dichiarati e riconoscibili (solo materie prime italiane, capitolati restrittivi, ogm-free, tracciabilità, disciplinare marchio collettivo o marca del distributore, etico) e, quindi, verificabili. In questo caso lo stesso produttore si fa garante e fiduciario della qualità dichiarata, mentre il ricorso ad una terza parte indipendente con funzioni di controllo e certificazione può rappresentare un ulteriore rafforzamento di quanto autodichiarato. In quest’ultimo caso gli schemi di riferimento sono quelli della certificazione volontaria di prodotto, che coinvolgono diversi tipi di prodotto e specifiche modalità di produzione (l’ortofrutta con schema EUREPGAP per le buone pratiche agricole, soia e mais “ogm-free”, carni ottenute tramite alimentazione del bestiame controllata, ecc.), e della certificazione di filiera (ortofrutta, carne bovina e latte), secondo criteri di rintracciabilità che fanno riferimento alla norma UNI 10939.
La qualità rappresenta quindi una formidabile leva competitiva per perseguire strategie di differenziazione. Naturalmente, tali politiche richiedono investimenti e costi di produzione ulteriori rispetto a produzioni che non presentano tali caratteristiche distintive. Realizzare prodotti dal contenuto qualitativo superiore implica, infatti, necessariamente:
- una maggior attenzione agli attributi intrinseci degli input utilizzati;
- la necessità di controllare i processi aziendali interni e migliorare le relazioni e l’integrazione con gli altri soggetti della filiera produttiva;
- in alcuni casi, l’ottenimento di minori economie di scala e curve di esperienza.
Ancora, il percorso di qualità comporta il dover sostenere maggiori costi:
- di adeguamento, in occasione dell’introduzione delle particolari misure adottate;
- di mantenimento, con l’obiettivo di rendere sostenibile nel tempo il vantaggio competitivo;
- di controllo, al fine di garantire standard qualitativi uniformi nel tempo e mantenere la promessa di qualità nei confronti dei propri clienti/consumatori.
A fronte di tale aggravio di costi, il vantaggio di differenziazione che ne deriva – se tali politiche sono gestite adeguatamente – consente di spuntare sul mercato un maggiore prezzo di vendita. La differenziazione di prodotto, infatti, nella misura in cui incontra gli interessi del mercato e crea valore per i clienti/consumatori, li induce a pagare un prezzo superiore in cambio del reale soddisfacimento di particolari bisogni.





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